Van Halen “Lemme get on all that”

Van Halen – Lemme get on all that: Gothic Tapes, Europe (senza numero di catalogo); dubplate trasparente in 30 copie numerate. Side a) Can’t this be love/ Poundcake/ Panama/ Ultra bass-Purple haze. Side b) Unchained/ Ain’t talking ’bout love/ Jump. Live during the 1986 U.S.A. tour

Per concludere questa fase dedicata a questa oscura etichetta europea, non posso evitare di trattare questo titolo, nonostante non si tratti di una delle migliori incisioni dei Van Halen ed in generale, piuttosto, rappresenti quello che nella scala di classificazione della qualità sonora di una registrazione, viene definito di norma “good audience stereo”, ma…

… devo ammettere che tra le difficoltà imposte da una qualità sonora “limitata”, si riesce comunque ad ascoltare una performance molto interessante, energetica e caratterizzata da quella vena di buon umore che è sempre stato il marchio di fabbrica del gruppo: questa serata fotografa la seconda vita dei Van Halen, definita dall’avvicendamento all voce di Sammy Hagar a David Lee Roth, e soprattutto alle nuova dimensione ottenuta tramite la seconda chitarra di Hagar nelle esibizioni dal vivo. La scaletta ci presenta subito Can’t this be Love, un brano tratto dal lp “5150”, album di esordio di Hagar nella band, quindi “cucito” su misura sulle capacità del cantante: gli altri musicisti non hanno certo bisogno di una mia presentazione, voglio solo ribadire che la base ritmica era all’epoca di primissimo livello nel panorama musicale e Eddie Van Halen aveva raggiunto l’apice della sua straordinaria abilità chitarristica, aggiungendoci anche delle più semplici digressioni alle tastiere, grazie al supporto live di Sammy Hagar, comunque passaggi molto funzionali ad incarnare e definire il  nuovo corso della band. Segue Poundcake, tratta dal successore di “5150” specificatamente “For Unlawful Carnal Knowledge” originariamente previsto come F.U.C.K., poi reso più “commerciale” per uscire sul mercato statunitense. Da menzionare che l’intro del brano è la registrazione di un trapano, scelto da Eddie Van Halen anche per la versione da studio dell’assolo, mentre dal vivo si limitava all’uso della registrazione dell’ intro ed eseguiva l’assolo con una distorsione similare. Versione interessante per la forza che si intuisce avere trasmesso al pubblico. Segue un passo indietro nel periodo di D.L.Roth, ad uno dei brani divenuto nel tempo un classico del gruppo, esattamente Panama: è ovvio che un confronto tra le due interpretazioni vocali è poco praticabile e conveniente, anche perchè la scarsa qualità sonora rende ancor meno giustizia agli sforzi di Hagar; il brano comunque corre fedele a se stesso, senza alcun tentennamento. Segue una chicca tipica da bootleg, un assolo di uno dei musicisti, ma a dispetto di quanto usualmente accaduto in altri live, ufficiali o meno, quì si può ascoltare il buon Mike Anthony in un solo di basso, cosa che credo avvenisse con regolarità, ma che con la stessa regolarità veniva ignorato nei bootlegs: sia chiaro, non siamo dinanzi ad un pezzo di eccezionale bravura, non è Anthony il miglior bassista al mondo, ma il suo suono è sempre stato perfettamente strumentale alla dimensione della band, sempre divisa nel dualismo tra la straordinaria chitarra e una voce a far da contraltare. Molto gradevole è la transizione dall’assolo secondo canoni classici, all’interpretazione per basso di un classico di Jimi Hendrix, quella Purple Haze che di diritto sta nell’olimpo della musica rock: bel tentativo, realizzato in maniera efficace e molto apprezzato dal pubblico. Inizia da qui in poi la seconda facciata, con un brano tratto dall’album del 1981 “Fair Warnings”, specificatamente Unchained (ne trovate un estratto all’inizio di questo articolo), bella versione, la differenza vocale non è apprezzabile ed il suono è decisamente più pieno rispetto alle performance con D.L.Roth. Viene il turno di uno dei classici della band, Ain’t talking ’bout love, tratto dal primo eponimo lp,  in una versione molto più estesa rispetto all’originale da studio, durante la quale la band scherza con il pubblico, soprattutto tramite Hagar. Chiude la facciata un altro successo mondiale dei Van Halen, quella Jump brano di apertura dell’album “1984”, uno dei pezzi che ha consacrato i Van Halen come una delle migliori band nel panorama della musica mondiale dell’epoca. Eseguito in maniera impeccabile, soprattutto nell’alternanza di Eddie Van Halen tra tastiere e chitarre, il brano risulta piacevolmente scanzonato, molto simile all’atmosfera del video che tramite MTV lo aveva reso un dei più ascoltati di quegli anni. Ottima chiusura, peccato solo per il sound decisamente insufficiente, ma comunque rimane un disco gradevole all’ascolto e, credo, anche interessante per i fans dei Van Halen, per la sua intrinseca rarita.